Coronavirus: le nuove misure emergenziali e le possibili ricadute sull'esecuzione dei contratti.

Versione aggiornata dell'articolo pubblicato in data 5 marzo 2020 alla luce delle disposizioni di cui al DPCM 8 marzo 2020.

Considerato che l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l'epidemia da COVID-19 un'emergenza di sanità pubblica internazionale e tenuto conto dell'aumento dei contagi su tutto il territorio nazionale, in data 8 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato nuove misure urgenti per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Il citato decreto individua quella che la stampa ha definito la nuova "zona arancione" (comprendente l'intera regione Lombardia e le province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia), introducendo misure restrittive della libertà di circolazione ("evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita [dalla c.d. zona arancione ndr] nonché all'interno [della medesima ndr]"), salvo che sussistano comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o spostamenti per motivi di salute o per il rientro presso il proprio domicilio. 

Il decreto intensifica, altresì, le misure di contenimento già adottate con i precedenti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'1 e 4 marzo 2020 (questi ultimi sostituiti dal decreto in commento; cfr. art. 5 comma 3), con evidenti ripercussioni sulla normale operatività delle imprese italiane in settori di vitale importanza per l'economia del Paese (e.g., turismo, trasporti, produzione e commercializzazione di beni e servizi, etc).

In particolare, per effetto di tali provvedimenti o anche soltanto dell'emergenza sanitaria in sé:

  1. da un lato, le imprese potrebbero non essere più in grado di adempiere le obbligazioni contrattuali assunte o, comunque, farlo entro i termini contrattualmente stabiliti;
  2. dall'altro, le stesse parti che dovrebbero ricevere le prestazioni (siano esse imprese o persone fisiche) potrebbero non essere più in grado di utilizzarle o persino rifiutarle, invocando una sopravvenuta carenza di interesse legata all'attuale situazione emergenziale.

Ci sembra, pertanto, utile dare brevemente evidenza dell'impatto delle nuove misure emergenziali da ultimo adottate, chiarendo quali potrebbero essere le conseguenze giuridiche che l'emergenza sanitaria in corso potrebbe avere sui rapporti contrattuali pendenti.

1.Quali sono i provvedimenti normativi emergenziali con maggiore impatto sui rapporti contrattuali?  

Tra i provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare l'emergenza, si segnalano in particolare:

  • il Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 ("Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19");
  • il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2020 ("Ulteriori disposizioni attuative del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19");
  • il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 2020 ("Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19"), ora sostituito dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 (cfr. art. 5 comma 3)
  • il Decreto Legge 2 marzo 2020 n. 9 ("Misure urgenti per il sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19");
  • il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020 ("Misure per il contrasto e il contenimento sull'intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19 "), ora sostituito dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 (cfr. art. 5 comma 3);
  • il Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 ("Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19").

Con tali provvedimenti sono state adottate misure di contenimento del virus diverse a seconda della gravità e dello stato di emergenza riscontrate nelle singole aree, tra cui anche:

  1. misure restrittive della libertà personale e di circolazione (i.e., divieti di allontanamento e di accesso; applicazione della quarantena; limitazione all'accesso o sospensione dei servizi di trasporto terrestre, aereo, ferroviario e marittimo);
  2. sospensione di manifestazioni, eventi e ogni forma di riunione;
  3. sospensione di viaggi organizzati, gite scolastiche e attività turistiche e/o culturali (i.e. eventi di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico anche se in loghi chiusi ma aperti al pubblico, quali pub, scuole di ballo, sale giochi, musei, teatri, sale scommesse, sale bingo, locali assimilati, musei);
  4. sospensione del servizio di trasporto di merci;
  5. sospensione delle attività di palestre, centri sportive, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (ad eccezione dei servizi che rientrano nei livelli essenziali di assistenza), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi;
  6. chiusura delle attività commerciali (i.e. chiusura tassativa delle attività di ristorazione e di bar dopo le ore 18.00 e prima delle ore 6.00; chiusura degli impianti sciistici);
  7. misure disciplinanti l'esercizio dell'attività di ristorazione e bar, con obblighi a carico del gestore di far rispettare la distanza di sicurezza tra i clienti (di almeno un metro);
  8. per le attività commerciali diverse da quelle di cui al precedente punto (vi), misure atte ad evitare assembramenti di persone che garantiscano il rispetto della summenzionata distanza di sicurezza.

Sono state altresì introdotte misure urgenti per consentire di ottenere il rimborso di quanto pagato – o, in alternativa, un voucher di pari importo utilizzabile entro un anno – a quanti abbiano acquistato titoli di viaggio o pacchetti turistici e non possano più utilizzarli a causa dell'epidemia in corso (ad esempio, perché contagiati, sottoposti quarantena o destinatari di un divieto di allontanamento).

2. In che misura tali provvedimenti impattano sull'esecuzione dei contratti?

Pur non riguardando direttamente i contratti pendenti, i provvedimenti indicati potrebbero incidere sulla capacità delle parti di eseguire o ricevere le relative prestazioni.

Essi potrebbero, infatti, determinare l'impossibilità sopravvenuta delle prestazioni (art. 1256 c.c.) per effetto del c.d. "factum principis", che ricorre quando provvedimenti legislativi o amministrativi emanati dopo la conclusione del contratto rendano oggettivamente impossibile eseguire la prestazione.

Limitando la libertà di movimento delle persone e vietando lo svolgimento di eventi e attività commerciali, tali provvedimenti possono dare luogo a:

  1. sopravvenuta impossibilità definitiva di eseguire la prestazione (es. cancellazione di conferenze o eventi organizzati in zone interessate da misure restrittive);
  2. sopravvenuta impossibilità temporanea di eseguire la prestazione (cfr. infra);
  3. eccessiva onerosità sopravvenuta (es: necessità di trasporto di merci in zone interessate da misure restrittive con modalità economicamente più onerose per il fornitore; incremento del prezzo di determinati beni in considerazione della situazione emergenziale etc., cfr. infra);
  4. sopravvenuta impossibilità di ricevere la prestazione (fattispecie non disciplinata dal codice civile, ma contemplata dalla giurisprudenza e, da ultimo, anche dalle misure urgenti varate dal Governo in materia di rimborsi di titoli di viaggio e pacchetti turistici; in base a tali misure sono divenute giuridicamente impossibili le prestazioni dovute, in relazione a contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo o terrestre, in favore di soggetti sottoposti a quarantena, destinatari di un divieto di allontanamento, etc.);
  5. sopravvenuta carenza di interesse a ricevere la prestazione (cfr. infra).

Per poter determinare l'impossibilità della prestazione, gli ordini o i divieti emanati dell'autorità devono essere:

  1. del tutto estranei alla volontà dell'obbligato (Cass. Civ., n. 21973/07);
  2. non ragionevolmente prevedibili, secondo la comune diligenza, all'atto dell'assunzione dell'obbligazione (Cass. Civ., n. 2059/2000).

I citati provvedimenti sono stati adottati dalle autorità competenti a fronte di un'emergenza sanitaria grave, eccezionale e, previe le valutazioni del caso, imprevedibile. Sono, quindi, del tutto estranei alla volontà dei contraenti e la loro emanazione non avrebbe potuto essere prevista dalle parti al momento della conclusione del contratto.

In aggiunta a quanto precede, si noti che, laddove le misure emergenziali adottate dal governo prevedano un divieto espresso (in termini di "non facere") potrebbe configurarsi, per i contratti stipulati successivamente all'entrata in vigore di tali provvedimenti un'illiceità dell'oggetto del contratto per violazione di una norma di legge (cfr. infra).

Si rinvia alle risposte successive per ulteriori approfondimenti.

3. Al di là dei provvedimenti emanati, l'emergenza Coronavirus può avere altri effetti sui contratti?

Sì. Il Coronavirus deve considerarsi un'epidemia anche dal punto di vista giuridico, e può configurare a tutti gli effetti una causa di forza maggiore (cfr. infra).

Secondo la giurisprudenza, l'epidemia è una malattia contagiosa che colpisce ad un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione, i cui elementi caratteristici sono: il carattere contagioso del morbo; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato delle persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un'estensione territoriale di una certa ampiezza, sì che risulti interessato un territorio abbastanza vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione (T. Bolzano 13.3.1979; T. Savona 6.2.2008).

L'epidemia può avere effetti sui contratti pendenti anche a prescindere dai provvedimenti urgenti adottati per contenerla, nella misura in cui possa rendere oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso erogare una prestazione contrattuale (es. il cantante che deve esibirsi si ammala e non può essere sostituito, oppure può essere sostituito soltanto a un costo elevatissimo), ovvero oggettivamente impossibile fruirne (es. il soggetto che ha acquistato un biglietto aereo si ammala e non può più partire).

Inoltre, in base ad un recente orientamento della Corte di Cassazione, il soggetto titolato a ricevere una prestazione può rifiutarla e ottenere il rimborso di quanto pagato (benché la prestazione sia ancora del tutto possibile) se, a causa di fatti sopravvenuti, viene irrimediabilmente pregiudicata la causa concreta del contratto. Sul punto, si rinvia alla risposta 8.

4. Quando si può parlare di "forza maggiore"?

4.1. Il concetto di forza maggiore merita un sintetico approfondimento tanto nella prospettiva nazionale quanto in un'ottica internazionale tenuto conto dei sempre più numerosi contratti conclusi con partner stranieri.

Nell'ordinamento italiano, non è dato rinvenire una definizione precisa di forza maggiore. Sul punto, la giurisprudenza ha ritenuto che la forza maggiore deve presentarsi come un particolare impedimento allo svolgimento di una certa azione e deve essere tale da rendere vano ogni sforzo dell'agente per il suo superamento ed inoltre non deve essere a lui imputabile in nessuna maniera. Per sua stessa definizione, la forza maggiore deve essere assoluta e, cioè, non vincibile né superabile in alcuna maniera. E tale non può considerarsi quella situazione che, con intensità di impegno e di diligenza tipica o normale, avrebbe potuto essere altrimenti superata.

In buona sostanza, dunque, la forza maggiore deve avere carattere oggettivo, straordinario ed imprevedibile.

4.2. A livello internazionale, invece, esistono testi normativi nei quali è diffusamente delineata la fattispecie della forza maggiore.

A titolo esemplificativo:

(i) La Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili dell'11.4.1980 individua le tre caratteristiche principali che devono essere presenti affinché la clausola di forza maggiore possa trovare concreta applicazione (art. 79, co. 1):

  • l'estraneità dell'accadimento dalla sfera di controllo dell'obbligato;
  • la non prevedibilità dell'evento al momento della stipulazione del contratto;
  • l'insormontabilità del fatto impedente o dei suoi esiti.

(ii) La Camera di Commercio Internazionale ha emanato la ICC Force Majeure Clause 2003 (ICC Clause), la quale, oltre a richiamare le tre caratteristiche già precedentemente individuate dalla Convenzione di Vienna del 1980 indica una lista di eventi il cui insorgere comporta l'applicazione della clausola di forza maggiore.

Esempi di questi accadimenti sono: guerre, ribellioni, atti di terrorismo, sabotaggi, epidemie, cicloni, terremoti, etc.

5. Il contenuto delle clausole di forza maggiore è tassativo?

Dipende dal tenore della clausola.

Difatti, qualora le ipotesi di forza maggiore siano state indicate in via meramente esemplificativa oppure non esaustiva o sia presente una locuzione nella quale siano ricompresi anche eventi analoghi a quelli specificamente elencati, si può ritenere che qualora dovesse verificarsi un'ipotesi di forza maggiore non compresa nell'elenco contenuto nella clausola contrattuale che le preveda, la parte tenuta all'esecuzione della propria prestazione possa invocare la "nuova" forza maggiore (ossia quella non prevista nel contratto) per giustificare il proprio inadempimento o le altre conseguenze che le parti abbiano voluto attribuire alla forza maggiore (ad esempio, la sospensione degli effetti del contratto, la rinegoziazione dello stesso o la cessazione di tutti i suoi effetti).

In tali ipotesi, quindi, l'elencazione contrattuale non esaurisce i casi in cui sia possibile invocare la forza maggiore, poiché quest'ultima deve sempre essere collegata alla sua nozione generale incentrata sul carattere sopravvenuto, imprevedibile ed inevitabile dell'evento impossibilitante.

Diversamente, qualora sia stata disposta una clausola di forza maggiore con un elenco ben preciso di eventi che le parti considerano come tale, ma non si ammettono interpretazioni estensive di tale clausola o eventi analoghi, si avverte che la mancata previsione dell'ipotesi dell'epidemia (poi verificatasi) non libererebbe automaticamente il debitore dall'esecuzione della propria prestazione. In questo caso bisognerà valutare, alla luce dell'intero contratto, se il debitore si sia assunto, o meno, il rischio di adempiere la propria prestazione anche qualora si fosse verificato l'evento (epidemia) non oggetto della clausola di forza maggiore.

In ogni caso, suggeriremmo di valutare con attenzione, in fase di negoziazione del contratto, il contenuto delle clausole di forza maggiore per minimizzare quanto più possibile interpretazioni discrezionali da parte di Giudici o Arbitri.

A tal proposito, le clausole di forza maggiore considerate più solide sono quelle in cui le parti definiscono espressamente il concetto di forza maggiore ad esempio facendo riferimento – senza individuare singoli eventi – a circostanze eccezionali che sfuggono al controllo delle parti, che le parti non avrebbero potuto ragionevolmente prevedere prima della stipulazione del contratto, inevitabili, insuperabili e non attribuibili ad alcuna delle parti.

6. Quali sono le conseguenze giuridiche nel caso di impossibilità definitiva della prestazione?

In estrema sintesi, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione:

  1. il debitore non è responsabile per il proprio inadempimento (art. 1218 c.c.);
  2. la sua obbligazione si estingue (art. 1256 c.c.);
  3. il contratto si risolve di diritto, senza bisogno di alcuna iniziativa di parte né di intervento del giudice (che sarà, tuttavia, necessario in caso di contestazioni; art. 1463 c.c.).

Per effetto della risoluzione, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte liberata per sopravvenuta impossibilità della prestazione:

  1. non può richiedere la controprestazione, e 
  2. deve restituire la prestazione eventualmente ricevuta (art. 1463 c.c.). 

In caso di mancato adempimento spontaneo, la parte contrattuale che vi ha interesse deve agire in giudizio per fare accertare l'impossibilità della prestazione e chiedere la restituzione di quanto pagato.

7. È possibile ritardare o sospendere l'esecuzione di una prestazione contrattuale se ciò è imposto dall'emergenza sanitaria in corso?

Sì. In base all'art. 1256 c.c., il debitore non è responsabile dei danni che la controparte possa subire per un ritardo nell'esecuzione della prestazione dovuto a un'oggettiva impossibilità temporanea.

Il carattere definitivo o transitorio dell'impossibilità non è valutabile in maniera assoluta, ma va valutato caso per caso, in relazione alla natura e all'oggetto del contratto e agli interessi delle parti.

Si prenda il caso, ad esempio, di un fornitore esterno che debba eseguire una consegna di merci in una zona interessata dai provvedimenti restrittivi adottati in via emergenziale dal Governo e vi sia impossibilitato a causa del divieto di accesso imposto dalle autorità. Ove il termine per la consegna non costituisca elemento essenziale del contratto e l'acquirente abbia ancora interesse a ricevere tali merci, il fornitore non potrà essere ritenuto responsabile del ritardo nella consegna, finché vige tale divieto.

Il rapporto contrattuale entra, dunque, in uno stato di sospensione, che può risolversi in due diversi modi:

  1. l'impossibilità viene meno (cessa lo stato di emergenza ed è nuovamente possibile accedere nel comune ed effettuarvi le consegne). In tal caso, il persistere della mancata consegna della merce diviene imputabile al fornitore e costituisce inadempimento; ovvero
  2. l'impossibilità diventa definitiva, ossia perdura fino a quando viene meno l'interesse che la prestazione in concreto è diretta a realizzare (ad esempio, le merci in questione potrebbero non essere più utili o utilizzabili dopo un certo periodo di tempo). In tal caso, l'obbligazione si estingue con conseguente scioglimento del vincolo contrattuale (artt. 1256 e 1463 c.c.).

Così, a mero titolo esemplificativo, il concessionario di un impianto sciistico non potrà eseguire la propria prestazione poiché l'obbligazione oggetto del contratto è divenuta contraria alla legge, attesa la chiusura degli impianti in seguito all'entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 (cfr. art. 1, comma 1, lett. f).

8. È possibile rifiutare la prestazione di un determinato contratto?

È teoricamente possibile, benché non previsto da alcuna previsione di legge, rifiutare la prestazione di un determinato contratto e attivare i rimedi restitutori (art. 1463 c.c.) quando l'interesse creditorio sia venuto meno per effetto della sopravvenuta oggettiva impossibilità di utilizzare la prestazione.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, infatti, l'impossibilità di utilizzare la prestazione da parte del creditore, pur se non disciplinata in modo espresso dal legislatore, costituisce – analogamente all'impossibilità di esecuzione della prestazione da parte del debitore – una causa di estinzione dell'obbligazione (Cass. Civ. 26958/2007, 18047/2018, 8766/2019).

In particolare, "l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione".

In virtù di tale principio, applicato anche dalle corti di merito (Trib. Firenze, 22 maggio 2019, n. 1581), il contratto potrebbe essere risolto anche quando la prestazione è in astratto ancora eseguibile, ma sia venuta meno la "possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto" e, quindi, la "causa concreta" dello stesso.

Ad esempio, il soggetto che ha acquistato un pacchetto turistico al di fuori di una zona interessata da provvedimenti restrittivi, pur potendo astrattamente usufruire di tutti i servizi turistici previsti dal pacchetto, potrebbe non avere più interesse a farne uso, a causa del ragionevole timore di essere contagiato. In tal caso, pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile, verrebbe meno la finalità turistica del contratto di viaggio da questi stipulato, e cioè la realizzazione del benessere psico-fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a realizzare.

9. È configurabile un'impossibilità parziale nell'esecuzione della prestazione?

Si, nei contratti con prestazioni corrispettive qualora la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto (i) di ridurre la controprestazione concordata ovvero (ii) recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento solo parziale.

In linea di principio, ove si verifichi un evento esterno – (i) non prevedibile al momento del sorgere del rapporto obbligatorio, (ii) non superabile con lo sforzo che può essere legittimamente richiesto al debitore ("esigibile"), (iii) tale da comportare un'apprezzabile riduzione della consistenza economico-giuridica della prestazione, anche in relazione all'interesse contrattuale del creditore – si configura un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta parziale, con le conseguenze poc'anzi indicate.

Può farsi ad esempio il caso del gestore di un'attività commerciale che prima dell'entrata in vigore delle misure emergenziali in commento abbia stipulato un contratto di prestazione d'opera (ingaggiando, ad esempio, un gruppo musicale per intrattenere i clienti dalle ore 17:00 alle 24:00). Ebbene, in tal caso, l'adozione di una misura restrittiva che limiti l'orario di apertura dell'esercizio commerciale (art. 1, comma 1, lett. n del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020) potrebbe costituire una ipotesi di impossibilità parziale, tale da legittimare il committente a recedere – eventualmente anche ai sensi dell'art. 2227 c.c. – dal contratto ove non abbia interesse ad un adempimento parziale ovvero a ridurre il corrispettivo pattuito.

10. Quali sono le conseguenze giuridiche dell'eccessiva onerosità sopravvenuta?

Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero differita, se la prestazione di una delle parti è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguire tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, salvo che tale eccessiva onerosità non rientri nella sua normale alea (art. 1467, commi 1 e 2, c.c.).

Il concetto di "eccessiva onerosità" non è definito dal legislatore ma, secondo la giurisprudenza e la dottrina, va valutato alla stregua di criteri rigorosamente oggettivi e distinto dalla mera difficoltà di adempimento.

In particolare, l'"eccessiva onerosità" rileva esclusivamente in quanto dovuta ad avvenimenti straordinari ed imprevedibili (tali sono sia i provvedimenti urgenti emanati dal Governo che l'emergenza sanitaria in sé) e nei limiti in cui imponga all'obbligato un sacrificio economico che eccede la normale alea del contratto (da valutarsi caso per caso).

Può farsi il caso di chi conduca in locazione bar, ristoranti o esercizi commerciali presenti all'interno dei centri commerciali o dei mercati.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 ha previsto:

  1. per i primi, la chiusura obbligatoria oltre le ore 18:00 e prima delle 6:00;
  2. per i secondi la chiusura delle "medie e grandi strutture di vendita nonché gli esercizi commerciali presenti all'interno dei centri commerciali e dei mercati" nelle giornate festive e prefestive. 

La stringenti limitazioni all'utilizzo degli esercizi commerciali (e i conseguenti minori introiti derivanti dalle attività di impresa ivi esercitate) potrebbero indurre gli esercenti a invocare la risoluzione del contratto di locazione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

A tale ultimo proposito, si precisa, tuttavia, che non essendovi un divieto assoluto di esercitare l'attività commerciale (invero soltanto limitata nei termini di cui sopra), allo stato, non appare di immediata applicazione il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, risultandone carenti i presupposti applicativi (i.e. i caratteri della assolutezza, oggettività e definitività). 

Per converso, è ragionevole ritenere di più probabile applicazione il rimedio della riduzione del canone per impossibilità parziale della prestazione nei termini di cui al punto che precede. 

Difatti, attraverso un'applicazione analogica dell'art. 1464 c.c. in tema di sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione (in termini di impossibilità per il conduttore di godere/ricevere la prestazione per ragioni oggettive), il conduttore potrebbe chiedere una riduzione del canone di locazione per riequilibrare le contrapposte prestazioni.

In ogni caso, a differenza dell'impossibilità, l'eccessiva onerosità sopravvenuta non produce alcun effetto liberatorio automatico (e, quindi, non risolve di diritto il contratto), ma va accertata e la risoluzione dichiarata in giudizio. 

La parte cui è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (art. 1467, comma 3, c.c.). 

11.In seguito all'adozione delle misure emergenziali può configurarsi un'illiceità dell'oggetto del contratto?

Si, nella misura in cui i provvedimenti emergenziali adottati dal Governo vietino (espressamente) o impongano lo svolgimento di una determinata attività (a questo proposito, è appena il caso di precisare che i provvedimenti ministeriali hanno mantenuto un approccio piuttosto cautelativo, limitando a pochissime fattispecie, la previsione di espressi divieti di facere. Pertanto, più facilmente, nella maggior parte dei casi, si ricadrà in una delle ipotesi di cui ai precedenti paragrafi) e la conclusione del contratto sia successiva all'adozione degli stessi (Cass. Civ. 4395/1978, 3690/1977).

In termini generali, l'oggetto di un contratto deve essere lecito, oltreché possibile e determinato (o determinabile).

L'oggetto di un contratto può dirsi illecito quando la prestazione è contraria, tra le altre cose, a norme imperative, ossia quelle regole aventi carattere cogente e finalizzate alla protezione di valori essenziali per l'ordinamento (quali il diritto alla salute).

Pertanto, ove un contratto dovesse prevedere una prestazione il cui contenuto risultasse contrario ai divieti previsti dalle misure emergenziali (ad esempio, contratto di concessione e uso di un impianto sciistico a fronte della chiusura degli stessi prevista dall'art. art. 1, comma 1, lett. f del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020), risulterebbe nullo per illiceità dell'oggetto.

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