Criticità e spunti dalle nuove norme italiane, in prospettiva italo-elvetica
Oltre un anno e mezzo fa, nel dicembre del 2023, su queste pagine si era dato conto dell'imminente riforma delle norme del diritto tributario italiano in materia di residenza fiscale, con uno sguardo anche alla prospettiva elvetica1.
Nel frattempo, molta acqua è passata sotto i ponti: le norme italiane sono state modificate e sono mutati i requisiti dai quali consegue il radicamento della residenza fiscale nella Penisola. Tra le principali novità, foriere di conseguenze anche nella prospettiva internazionale, vi è in particolare l'inclusione di un nuovo criterio relativo alla "presenza fisica" del contribuente nel territorio italiano. Ciò, anche alla luce dell'interpretazione fornita dalle autorità fiscali italiane, ha suscitato notevoli perplessità nell'opinione pubblica, per taluni effetti distorsivi che potrebbe determinare. In questo contributo si tenterà una sommaria disamina del tema, nella prospettiva italo-elvetica.
Le nuove norme italiane e il tema della presenza fisica
Nell'ordinamento tributario italiano, la residenza fiscale delle persone fisiche ai fini delle imposte sui redditi è disciplinata dall'art. 2 comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). La norma, come si notava, è stata riformata con effetto dal 1° gennaio 2024. Secondo la nuova formulazione, sono fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (quindi, per almeno 183 giorni in ciascun periodo fiscale), considerando anche le frazioni di giorno:
- hanno nel territorio italiano la residenza, definita dal codice civile italiano (art. 43 CCI) come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale;
- hanno nel territorio italiano il domicilio, inteso ai fini fiscali come "il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona"
- sono presenti nel territorio italiano.
Dopo l'entrata in vigore della norma, l'autorità fiscale italiana ha emesso – nel novembre 2024 - una dettagliata circolare2 chiarendo il proprio approccio interpretativo. Tralasciando, in questa sede, gli altri criteri, è interessante notare l'effetto dirompente connesso all'applicazione del requisito della "presenza fisica". Ciò, per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché tale criterio prescinde da qualunque rilevanza delle intenzioni, in capo alla persona fisica, rispetto alla presenza nel territorio italiano. Diversamente, cioè, dalla residenza e dal domicilio fiscale, che coinvolgono anche profili volitivi, la presenza fisica non richiede alcun animus, ma esclusivamente la circostanza relativa alla localizzazione geografica della persona all'interno dei confini italiani, indipendentemente dalle motivazioni (svago, lavoro, necessità). In secondo luogo, perché tale requisito risulta particolarmente insidioso in combinazione con la rilevanza delle "frazioni di giorno", e con il fatto che la presenza fisica in Italia anche solo per una frazione di giorno viene equiparata alla presenza per una giornata intera.
In ultimo, bisogna anche sottolineare che nessuna rilevanza ha il fatto che la presenza sia continuativa o sporadica e frazionata, rilevando invece unicamente la circostanza che la presenza medesima risulti avverata per più di 183 giorni all'anno.
Le norme italiane in materia di residenza fiscale sono state modificate e sono mutati i requisiti
Profili problematici
Alla luce delle nuove norme, e dell'interpretazione fatta propria dall'Agenzia delle Entrate, si possono porre alcuni scenari critici, che risultano particolarmente degni di nota nella prospettiva, ad esempio, degli abitanti delle zone di frontiera in stati limitrofi all'Italia.
Prendendo spunto da esemplificazioni espressamente contenute nella menzionata prassi dell'autorità fiscale italiana, è quindi bene notare che la presenza in Italia per una sola ora (es. dalle 23.00 alla mezzanotte) è ritenuta sufficiente per fondare la presenza per l'intera giornata. Inoltre, la totale irrilevanza delle motivazioni che connotano la presenza della persona sul territorio italiano comporta la rilevanza, ai fini fiscali, anche di comportamenti scevri di qualunque intendimento malizioso, come visite a parenti o amici, o lo svolgimento di semplici incombenze (es., spese, spettacoli, manifestazioni culturali o attività sportive).
Tutte evenienze assolutamente consuete per chi risieda all'estero in regioni vicine all'Italia, e specialmente per chi viva in Svizzera, quale stato di forte emigrazione italiana e ridotta estensione territoriale, e sia naturalmente incline a frequentare, per le più varie ragioni, il territorio italiano.
In quest'ottica, è cruciale domandarsi come sia possibile gestire simili situazioni, nella prospettiva della mobilità transfrontaliera italo-elvetica.
Approccio svizzero e rischi di doppia residenza
In quest'ottica, è opportuno brevemente considerare la posizione del diritto fiscale elvetico rispetto al tema della presenza fisica. Com'è noto, secondo le norme svizzere3 l'assoggettamento illimitato ai fini delle imposte federali e cantonali consegue al fatto che la persona fisica abbia, in Svizzera o rispettivamente in un certo Cantone, il "domicilio fiscale" o la "dimora fiscale". Il domicilio fiscale in Svizzera (oppure nel Cantone) deriva, tra l'altro, dal fatto che la persona vi risiede con l'intenzione di stabilirsi durevolmente. Diversamente, la dimora fiscale sussiste quando una persona vi soggiorna senza interruzioni apprezzabili per almeno 30 giorni nel corso del periodo fiscale, se esercita un'attività lucrativa, oppure per almeno 90 giorni, senza esercitare un'attività lucrativa.
In questo senso, nella prospettiva elvetica la presenza fisica rileva, quale fondamento della dimora fiscale, non quale mera circostanza di fatto, bensì solo se connotata da tre elementi: anzitutto, si tratti di un "soggiorno", e non, ad esempio, di un mero passaggio; poi, quando il soggiorno avvenga senza "interruzioni apprezzabili"; e infine, quando siano superate determinate soglie (30 o 60 giorni). Senza qui attardarsi, queste brevi considerazioni paiono sufficienti a rimarcare la profonda diversità di approccio tra le due normative fiscali, italiana e svizzera. Ciò posto, tornando al caso pratico immaginato in precedenza, bisogna quindi domandarsi cosa avverrebbe nella situazione di un certo soggetto, "Tizio", il quale viva e lavori stabilmente in Svizzera ma, con particolare frequenza, si rechi in territorio italiano per svariate motivazioni – serate in compagnia, spese, jogging... - superando la fatidica soglia delle 183 frazioni di giorno.
In una tale situazione, indubbiamen te Tizio sarebbe considerato come illimitatamente soggetto alle imposte in Svizzera. Tuttavia, secondo il nuovo approccio italiano si qualificherebbe anche quale residente fiscale in Italia, in ragione della sua presenza fisica in tale stato per la maggior parte del periodo fiscale. Fortunatamente, rispetto a questi esiti alquanto paradossali, e ai notevoli rischi che ne deriverebbero, Tizio potrebbe avvalersi di un prezioso strumento: la Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa tra Italia e Svizzera nel 1976 (di seguito anche CDI).
Tutela convenzionale
Le norme delle convenzioni contro le doppie imposizioni, essendo di fonte internazionale, prevalgono su quelle di diritto interno degli stati che ne sono parte. Pertanto, quando una persona – che possa beneficiare della Convenzione4 - sia considerata simultaneamente residente fiscale sia in Svizzera che in Italia, il conflitto di doppia residenza dovrà essere risolto applicando le regole previste dalla stessa CDI.
In questo senso, la Convenzione contiene – secondo il Modello OCSE – una norma per la risoluzione dei conflitti di doppia residenza fiscale, sulla base di alcuni criteri, le c.d. "tie breaker rules". Tali criteri di collegamento sono, in successione, l'abitazione permanente, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e, infine, la nazionalità del contribuente.
In sostanza, in base alla localizzazione di tali criteri – da analizzare secondo l'ordine di cui sopra – si determina la giurisdizione che può considerarsi, nel concreto, quale unico stato di residenza del contribuente.
Tornando, quindi, all'esempio sopra ipotizzato, Tizio – qualora venisse sottoposto a un accertamento fiscale in Italia, fondato sulla sua permanenza fisica in tale Stato – potrebbe dimostrare la prevalenza della propria residenza fiscale in Svizzera, provando in primo luogo il fatto di avere unicamente in Svizzera la propria abitazione permanente.
Il domicilio fiscale in Svizzera (oppure nel Cantone) deriva, tra l'altro, dal fatto che la persona vi risiede con l'intenzione di stabilirsi durevolmente
In conclusione, si può quindi osservare che le nuove norme tributarie italiane, indubbiamente, ampliano gli strumenti a disposizione all'Agenzia delle Entrate per condurre accertamenti sulla residenza fiscale delle persone fisiche, prendendo in considerazione anche il criterio della presenza fisica. Da un punto di vista pratico, nei riguardi di soggetti già fiscalmente residenti in Svizzera, il rischio concreto costituito da tali nuove norme deve tuttavia essere valutato in considerazione della situazione specifica del singolo contribuente
Footnotes
1. Residenza fiscale ed iscrizione anagrafica, in La Rivista, n. 4 Anno 114, dicembre 2023.
2. Agenzia delle Entrate, circolare n. 20/E del 4 novembre 2024.
3. ACfr. Legge federale sull'imposta federale diretta (LIFD) del 14 dicembre 1990 e Legge federale sull'armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (LAID) del 14 dicembre 1990.
4. Il riferimento critico è ai contribuenti che beneficiano di forme di imposizione forfettaria, quali l'imposizione globale sul dispendio svizzera e il regime per i neo-residenti ex art. 24-bis del TUIR in Italia, i quali possono invocare i benefici convenzionali solo a determinate condizioni.
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