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Un'importante novità giurisprudenziale chiarisce le alternative a disposizione dei proprietari di immobili problematici.
Nelle successioni transfrontaliere che coinvolgono l'Italia – in particolare nei casi italo-svizzeri – ricorre frequentemente la questione della caduta in successione di beni immobili situati in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza del defunto (il "de cuius"). Spesso, tuttavia, non si tratta di aviti palazzi patrizi, ma di modeste cose, per quanto care: la casa natale del nonno, il terreno in comproprietà con i cugini, la porzione di baita lasciata dal lontano zio. Si tratta, purtroppo, sovente di immobili in cattivo stato di manutenzione, spesso in contesti rurali o comunque molto lontani – in senso geografico e sociale – da quelli in cui vivono gli eredi. Così, il fatto di ereditare simili beni può far sorgere legittime preoccupazioni. Di certo, il possesso fondiario crea costi: in termini reali (es. manutenzione) e fiscali, come si dirà meglio nel prosieguo. Dunque, benché possa sembrare sorprendente e per certi versi anche avvilente, nella pratica professionale ci si trova spesso confrontati con clienti che desiderano, con diverse sfumature, liberarsi di questi sgraditi cespiti.
Alcuni oneri derivanti dal possesso fondiario
Tipicamente, le prime preoccupazioni degli eredi, novelli proprietari, sono di natura tributaria. Dal punto di vista italiano, il mero possesso di un immobile determina generalmente l'assoggettamento all'Imposta municipale propria (IMU), un tributo di natura patrimoniale riscosso dai comuni, così come – a seconda dei casi – alla tassa sui rifiuti (TARI). In alcuni casi, potrebbe anche essere dovuta l'IRPEF, ossia l'imposta sul reddito delle persone fisiche. Prescindendo dagli importi di questi tributi, generalmente contenuti, il problema è spesso di natura pratica, anche considerando che il loro mancato pagamento determina l'irrogazione di sanzioni ed il rischio di procedure esecutive, ulteriormente onerose e defatiganti. Inoltre, nella prospettiva di un soggetto fiscalmente residente in Svizzera, bisogna anche considerare l'obbligo di includere questi beni immobili – quantunque non imponibili – nella propria dichiarazione di imposta, indicandone il valore sia ai fini dell'imposta sul reddito sia ai fini di quella sulla sostanza. Le autorità tributarie cantonali non sempre sono avvezze ai valori fiscali italiani e, ad esempio, potrebbe essere scoraggiante doversi confrontare con l'amministrazione per identificare il valore locativo ai fini delle imposte svizzere partendo dal valore catastale italiano. Tuttavia, quello fiscale non è che uno degli aspetti critici: un altro, ancor più importante, è invece quello di natura civilistica. Il possesso fondiario genera, infatti, speciali responsabilità, tradizionalmente riassunte nell'espressione latina "cuius commoda, eius et incommoda" (a chi spettano i vantaggi, spettano anche gli svantaggi): si tratta, in particolare, della responsabilità per i danni causati dalla rovina dell'edificio (art. 2053 del Codice Civile italiano, di seguito "CC") nonché del dovere di custodia (art. 2051 CC) – e della correlata responsabilità per danni – che incombono sul proprietario di un immobile. Numerose normative di settore (ambientali, paesaggistiche, tecniche), poi, possono incidere sui diritti spettanti al proprietario, determinando ulteriori limitazioni e costi. Si pensi, infine, a circostanze eccezionali di natura fisica – quali la collocazione in zone colpite da sismi, fenomeni franosi o alluvionali – che rendono, di fatto, non proficuamente utilizzabili certi immobili. L'insieme di questi aspetti può, quindi, far comprensibilmente sorgere l'intenzione di rinunciare alla proprietà immobiliare.
La rinuncia al diritto di comproprietà
In questa prospettiva, fattispecie ancor più peculiare è quella del comproprietario, il quale – oltre agli aspetti di cui sopra – si trova anche a dover fronteggiare gli altri partecipanti alla comunione. In particolare, il comproprietario soggiace a limiti nell'uso dell'immobile comune (art. 1102 CC), così come agli obblighi di compartecipazione alle spese deliberate dalla maggioranza dei comproprietari (art. 1104 CC).
Quale via d'uscita da questa situazione, l'ordinamento italiano prevede espressamente l'istituto della rinuncia al diritto di comproprietà. Si tratta di un negozio unilaterale tramite il quale un soggetto si spoglia volontariamente del proprio diritto, senza che vi sia alcuna necessità di accettazione da parte degli altri comproprietari perché produca i propri effetti. La giurisprudenza ha qualificato tale atto quale figura di "abbandono liberatorio", caratterizzato dalla funzione di liberare, attraverso l'abdicazione al diritto di proprietà, il titolare da un'obbligazione connessa con tale diritto. A fronte dell'effetto in capo al rinunciante, si determina l'accrescimento del diritto degli altri comproprietari, le cui quote si vanno ad espandere, senza possibilità di rifiuto da parte loro.
In ragione di tale effetto accrescitivo – indesiderato ma comunque gratuito – la rinuncia al diritto di comproprietà rientra nell'ambito dell'imposta di donazione e comporta anche l'applicazione delle imposte ipotecaria e catastale (oltre ad altri tributi minori). Poiché l'atto di rinuncia deve rivestire la forma scritta e, per la sua necessaria trascrizione, quella dell'atto pubblico, è richiesto l'intervento del notaio. L'esercizio di tale rinuncia, quindi, non è scevro di costi immediati e, dunque, la sua convenienza deve essere valutata attentamente, a fronte degli oneri previsti, o prevedibili, derivanti dall'immobile.
La rinuncia da parte dell'unico proprietario
Diversa è la situazione della rinuncia al diritto di proprietà da parte del proprietario unico, o di tutti i comproprietari congiuntamente. In questo caso, non potendo operare l'effetto accrescitivo a favore di altri, la rinuncia determina il successivo acquisto dell'immobile da parte dello Stato italiano (art. 827 CC, secondo il quale, in generale, gli immobili vacanti spettano al patrimonio dello Stato); con la conseguenza, infine, di traslare sulla collettività i costi e rischi incombenti sul precedente proprietario. Sulla base di queste ed altre considerazioni giuridiche, la giurisprudenza era ondivaga nell'affermare la validità di tale specie di rinunce abdicative, considerando talvolta gli interessi dei rinuncianti come non meritevoli di tutela
Si deve quindi particolarmente apprezzare il recentissimo intervento della Corte di Cassazione italiana che, con una sentenza resa a sezioni unite (sentenza n. 23093, depositata l'11 agosto 2025), ha finalmente fatto chiarezza sul punto. Secondo la Suprema Corte, la facoltà di disporre di un bene in modo esclusivo spettante – secondo l'art. 832 CC – al proprietario ricomprende quella di deciderne la destinazione, inclusa la possibilità di rinunciarvi. Tale modalità di disposizione non è, peraltro, soggetta a limiti di scopo. Pertanto, anche l'eventuale perseguimento da parte del proprietario di un "fine egoistico" – quale quello di sottrarsi ai costi ed oneri inerenti alla proprietà immobiliare – non può legittimare interventi del giudice tesi a contestare la validità della rinuncia.
La rinuncia alla proprietà immobiliare si configura quindi quale atto essenzialmente unilaterale, non recettizio e diretto alla mera soddisfazione dell'interesse del titolare del diritto, mirante a dismetterlo. Sotto il profilo materiale, tale dichiarazione deve quindi essere resa in forma scritta, e deve essere trascritta nei registri immobiliari. Per contro, l'effetto di acquisizione dell'immobile vacante da parte dello Stato si realizza successivamente, quale acquisto a titolo originario. In proposito, nella stessa sentenza la Cassazione ha anche chiarito che le responsabilità risarcitorie relative alla mancata custodia e manutenzione dell'immobile vincolano lo Stato unicamente quando sorte successivamente alla rinuncia: in sostanza, quindi, le responsabilità sorte anteriormente restano a carico del proprietario rinunciante.
Alcune conseguenze
La sentenza citata, per la portata dei principi di diritto in essa enunciati, sta suscitando intenso dibattito e importanti commenti.
Dal punto di vista tecnico, autorevole dottrina ha già sottolineato alcuni aspetti d'interesse. Tra questi, si è notato che la rinuncia non richiede la conformità catastale, né quella urbanistica ed energetica dell'immobile. D'altro canto, la pronuncia della Cassazione, per la sua ampiezza, rileva anche per il caso della rinuncia alla quota di comproprietà, precludendo eventuali pretese di risarcimento da parte di altri interessati che si ritengano lesi dalla rinuncia stessa. Si pensi, in particolare, agli altri coeredi, la cui quota si accresce con conseguente aumento di costi e responsabilità.
In una prospettiva più generale, bisogna cogliere il fatto che la sentenza in questione avrà un notevole rilievo rispetto alla futura gestione del patrimonio immobiliare in Italia. Da un lato, certamente, lo Stato – ed in particolare i Comuni – si troverà ad acquisire un numero sempre maggiore di immobili diruti o "disutili". Questo, oltre a determinare costi per la collettività, potrebbe ingenerare fenomeni virtuosi di recupero di talune aree depresse del Paese. Dall'altro lato, la rinuncia immobiliare potrà, più stabilmente che nel passato, configurarsi quale strumento di pianificazione successoria, e latamente patrimoniale: ancor prima di dover lasciare i propri eredi a misurarsi con questo tema, il proprietario potrà, ad esempio, saggiamente valutare la dismissione di un asset problematico. Magari, suscitando le ire degli avi, ma forse risparmiandosi quelle dei discendenti.
Footnotes
1 Tale fattispecie è accomunata ad altre figure consimili quali, ad esempio, l'abbandono del fondo servente ex art. 1070 CC.
2 Attualmente, per coniuge e parenti in linea retta (es. figli) l'imposta di donazione italiana è prelevata con aliquota del 4%, da applicare sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, la quota di Eur 1 milione; per parenti in linea collaterale e fratelli l'aliquota è del 6%, da applicare sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, Eur 100'000,00; se invece non esiste parentela, l'aliquota è pari all'8%, senza alcuna franchigia.
3 Si veda A. Busani, La rinuncia all'immobile non richiede conformità catastale e, dello stesso autore, L'addio alla comproprietà preclude ora possibili pretese di risarcimento, Il Sole 24 Ore, 19 agosto 2025, p. 24.
Originally published by La Rivista, 03/2025 - magazine della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.
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