In data 30 settembre 2014, il Presidente della
Family Court, Munby, ha dato lettura della sentenza nel
caso Rapisarda v Colladon [2014] EWFC 35. Questa pronuncia
giunge al termine di un processo dai toni grotteschi che ha portato
alla luce l'indebita prassi, seguita anche da molti
connazionali, di adire il giudice inglese falsificando la residenza
effettiva dei coniugi allo scopo di aggirare la più rigida
normativa sul divorzio nello stato di provenienza.
Il caso – di indubbio interesse per gli operatori del diritto
e per le coppie in procinto di separarsi, specialmente quelle che
risiedono all'estero – ha raccolto anche l'attenzione
dell'opinione pubblica, rivelando quella che è stato
definita come 'una frode di portata quasi industriale', che
ha coinvolto a vario titolo il Queen's Proctor,
l'Attorney-General, il Presidente della Family
Division, un cancelliere disonesto, la polizia di Thames
Valley e 180 coppie italiane, le quali avevano tutte fornito quale
indirizzo di residenza abituale nel Regno Unito (requisito
necessario per radicare la giurisdizione dell'ordinamento
inglese) una casella postale a Maidenhead. Ai suddetti
protagonisti, si aggiungono il Dott. R (il quale è accusato
di aver percepito indebitamente delle somme di denaro a scapito
dell'apparato giurisdizionale inglese e delle coppie italiane
raggirate) e l'intermediario italiano, tale Sig. G, che avrebbe
'prestato assistenza agli avvocati italiani per consentire
facili divorzi in tutta Europa'.
Il processo ha accertato come il sistema fraudolento si fosse
consolidato tra il 2010 e il 2012, ma la Corte, con la pronuncia in
esame, ha finalmente messo fine a tale prassi illegittima,
assumendo una dura posizione di condanna di quanto accaduto (che
potrebbe avere risolti anche in sede penale), seguita dalla
promessa di riformare le procedure interne al fine di evitare che
situazioni simili abbiano a ripetersi in futuro.
A margine di ciò, però, sono state invalidate per
frode 180 istanze di divorzio (alcune delle quali erano anche
già state definitivamente convalidate) presentate in diversi
tribunali di contea inglesi da molte coppie italiane che erano
state attratte dalla prospettiva di ottenere il divorzio in
Inghilterra più rapidamente di quanto sia concessso in
Italia. Di fatto, il processo ha appurato che, nonostante il falso
recapito a Maidenhead, nessuno dei coniugi coinvolti, tutti
residenti in varie località italiane, aveva mai vissuto nel
Regno Unito, tanto che a molti non è stato nemmeno possibile
notificare la citazione del Queen's Proctor e
potrebbero, dunque, rimanere del tutto all'oscuro del fatto che
il loro divorzio sia stato invalidato.
La portata di questa sentenza, oltre ai casi di bigamia che
potrebbero presentarsi e alle possibili questioni in tema di
responsabilità verso i figli nati dopo il divorzio
annullato, è quella di dimostrare, ancora una volta, le
complessità insite nella gestione della crisi famigliare e
delle procedure di separazione e divorzio a carattere
internazionale.
La pronuncia, inoltre, costituirà le fondamenta sulla cui
base la Family Court modificherà le proprie
procedure interne al fine di scongiurare il pericolo di ulteriori
frodi in futuro. È probabile, ad esempio, che nei mesi
avvenire venga considerevolmente ridotto il numero dei tribunali
autorizzati a ricevere le istanze di divorzio e che si assista ad
un generale inasprimento dei controlli formali.
Oltre ai profili di interesse summenzionati, la sentenza in
commento è chiaramente indirizzata a dare un segnale ai
giuristi europei continentali. Perfettamente conscio che «la
sentenza verrà letta da molti operatori con poca
dimestichezza con l'ordinamento giuridico inglese», il
Presidente ha colto l'occasione per mandare un messaggio a
tutti quelli che potrebbero essere tentati di sfruttare
illegittimamente i vantaggi di una giurisdizione nota come 'la
capitale mondiale dei divorzi'. Infatti, la pronuncia chiarisce
in dettaglio i titoli fondanti la giurisdizione inglese in materia
di separazione personale dei coniugi e divorzio, dichiarando
esplicitamente l'illegittimità insita nel cosiddetto
'turismo dei divorzi' e ammonendo che le regole europee in
materia sono chiare e non possono essere aggirate.
Lo Studio viene spesso contattato da clienti o potenziali clienti
di nazionalità italiana interessati ad ottenere un celere
divorzio in Inghilterra. Infatti, nonostante le recenti aperture
del governo e del parlamento per ridurre il tempo nei casi di
divorzio consensuale senza figli, il diritto italiano prevede
tuttora che i coniugi debbano attendere tre anni dalla domanda di
separazione prima di poter presentare istanza di divorzio,
sicché è comprensibile che alcuni abbiano interesse
ad abbreviare tale periodo. La pronuncia in commento, però,
conferma i rischi che potrebbero presentarsi nell'adire il
giudice inglese in difetto dei requisiti di residenza dei coniugi
previsti per legge.
Malgrado il caso di specie, spesso un oculato uso degli istituti
del diritto di famiglia internazionale consente di tutelare in
maniera efficace gli interessi delle parti. Non è un caso,
infatti, che, ove vi sia più di un ordinamento astrattamente
competente a conoscere della separazione personale dei coniugi,
spesso si assista a delle vere e proprie 'corse' per adire
una giurisdizione piuttosto che l'altra, posto che la scelta
potrebbe influenzare molti aspetti della separazione o del divorzio
come, ad esempio, l'ammontare del mantenimento attribuito in
favore del coniuge economicamente più debole. Oltre a
questo, si deve ricordare che, in molti casi, l'ordinamento
inglese consente di adire le corti britanniche per richiedere
l'integrazione dell'assegno di mantenimento già
stabilito all'estero, anche qualora il procedimento di divorzio
sia pendente o perfino già concluso in un paese
straniero.
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