Nella serata di martedì 18 luglio, la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato il Disegno di legge di riforma del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). La riforma – nel perseguire gli obiettivi già fissati dalla Commissione Europea nel suo Action Plan1 del 2020, successivamente inseriti nel PNRR – mira a rafforzare il vigente sistema di protezione della proprietà industriale, assicurando ai titolari di diritti su beni immateriali maggiori tutele e garanzie, specie rispetto al ritorno sugli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo.

A suscitare un certo interesse è l'art. 3 del Disegno di legge, intitolato “Titolarità delle invenzioni realizzate nell'ambito di università ed enti di ricerca”. La modifica andrà a stravolgere l'articolo 65 del c.p.i., che disciplina le invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti di ricerca pubblici. Nella sua attuale formulazione, tale norma riconosce al ricercatore la titolarità dei diritti nascenti dall'invenzione sorta in pendenza di un rapporto di lavoro o d'impiego con l'ente pubblico di ricerca o con l'università, in deroga alla disciplina generale delle invenzioni dei dipendenti prevista dall'articolo 64 c.p.i.. Il meccanismo appena descritto, introdotto con la legge 383 del 18 ottobre 2001 e conosciuto dagli addetti ai lavori come “professor's privilege”, rappresenta il retaggio di una politica che, a partire dalla fine degli anni ‘90, i Paesi europei hanno gradualmente abbandonato.

Il testo di cui all'art. 3 del DDL, modificato dal Senato e trasmesso alla Camera il 14 giugno 2023, stabilisce che i diritti patrimoniali sull'invenzione spetteranno non (più) al ricercatore, ma alla struttura – università o ente pubblico di ricerca – di appartenenza; nel caso in cui vengano coinvolti più soggetti pubblici, a ciascuna università o ente in parti uguali, secondo un regime di comunione, così come previsto dall'art. 6 c.p.i.. Pertanto, fermo restando il riconoscimento dei diritti morali in capo al ricercatore-inventore, quest'ultimo dovrà comunicare “tempestivamente” (pena l'impossibilità di depositare domanda di brevetto a nome proprio) alla struttura di appartenenza l'oggetto dell'invenzione. Solo nel caso in cui, decorsi sei mesi (o nove, qualora si rendessero necessarie valutazioni tecniche) dalla suddetta comunicazione, la struttura si astenesse dal depositare la relativa domanda di brevetto, o comunicasse l'assenza di un interesse a farlo, il ricercatore-inventore potrà procedere autonomamente e intestarsi validamente la proprietà del trovato e del relativo brevetto.

Questa formulazione mira, per quanto possibile, ad arginare il rischio che un'invenzione sorta in seno a strutture pubbliche non venga tutelata, e conseguentemente attuata e messa a profitto. Il fenomeno della mancata attuazione delle invenzioni è infatti una delle principali preoccupazioni per chi si occupa di legiferare in tema di proprietà industriale. Un esempio in tal senso è rappresentato dall'art. 70 c.p.i., che prevede l'ipotesi di una licenza obbligatoria – emessa cioè in assenza di pattuizione – ad hoc nel caso in cui l'invenzione non venga attuata nei tre anni dalla data di rilascio del brevetto. L'assegnazione del diritto al brevetto a quei soggetti che finanziano, direttamente o indirettamente, o che forniscono gli strumenti essenziali per la ricerca, solleverà perciò i ricercatori dal gravoso onere di dover predisporre quanto necessario (in termini di capitale, mezzi, infrastrutture, personale, ecc.) alla realizzazione dell'invenzione, e che ha talvolta comportato la perdita definitiva dell'innovazione.

Ad affiancare il succitato articolo 65, il legislatore ha previsto anche l'introduzione del un nuovo articolo 65bis c.p.i. (art. 4 del DDL S. 411), al fine di coadiuvare l'operato dei ricercatori con quello degli enti pubblici di appartenenza. Si stabilisce infatti la possibilità, per enti di ricerca pubblici ed istituzioni universitarie (ma anche per istituti di Alta formazione, nonché per gli IRCCS) di dotarsi di un proprio Ufficio di trasferimento tecnologico (UTT), con lo scopo di valorizzare i propri titoli di proprietà industriale.

L'entrata in vigore della riforma è attesa entro la fine di settembre 2023.

Footnote

1. European Commission, Making the most of the EU's innovative potential: An intellectual property action plan to support the EU's recovery and resilience, COM (2020), 760, 25 novembre 2020. 

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