DIRITTO BANCARIO E FINANZIARIO

Corte di Cassazione, 6 settembre 2023, n. 1951 – rimborso anticipato dei costi sostenuti dal consumatore in caso di estinzione anticipata del finanziamento: in tema di estinzione anticipata del finanziamento, l'art. 125 del TUB, nella formulazione antecedente alle modifiche inserite con il D.lgs

n. 141 del 2010, prevede che il consumatore ha diritto ad un'equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR; in caso di assenza della normativa integrativa o di norma integrativa che rinvii all'autonomia contrattuale il consumatore ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito. È altresì nulla la clausola che escluda il rimborso dei costi sostenuti a carico del consumatore in caso di estinzione anticipata del finanziamento, poiché determina a carico dello stesso, ai sensi del D.lgs 206/2005, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Corte di Cassazione, 20 settembre 2023, n. 26867 – responsabilità degli amministratori della banca per concessione del credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza: gli amministratori di una banca, ove abbiano concesso credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza, sono tenuti al risarcimento del danno attuale causato al patrimonio dell'istituto di credito, da liquidarsi in via equitativa, consistente nella riduzione delle sue capacità gestionali e di investimento, in ragione della svalutazione del portafoglio clienti e dei costi di gestione finalizzati al rientro.

DIRITTO SOCIETARIO E COMMERCIALE

Corte di Cassazione, 1° settembre 2023, n. 25631 – riparto dell'onere della prova ed azione di responsabilità sociale: la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare l'osservanza dei predetti doveri.

DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI

Corte di Cassazione, 27 settembre 2023, n. 27442 – compenso del curatore fallimentare: ai fini dell'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002, la regola per cui se tra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge le spese ed onorari del curatore fallimentare sono anticipati dall'erario, dettata per il caso tipico del fallimento privo di attivo, si estende per identità di ratio anche al caso di fallimento con attivo insufficiente.

DIRITTO BANCARIO E FINANZIARIO

Corte di Cassazione, 6 settembre 2023, n. 1951 – rimborso anticipato dei costi sostenuti dal consumatore in caso di estinzione anticipata del finanziamento: in tema di estinzione anticipata del finanziamento, l'art. 125 del TUB, nella formulazione antecedente alle modifiche inserite con il D.lgs n. 141 del 2010, prevede che il consumatore ha diritto ad un'equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR; in caso di assenza della normativa integrativa o di norma integrativa che rinvii all'autonomia contrattuale il consumatore ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito. È altresì nulla la clausola che escluda il rimborso dei costi sostenuti a carico del consumatore in caso di estinzione anticipata del finanziamento, poiché determina a carico dello stesso, ai sensi del D.lgs 206/2005, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1951 del 6 settembre 2023, si è pronunciata in tema di rimborso dei costi sostenuti dal consumatore finanziato in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento, con particolare rifrimento all'applicazione dell' art. 125 del TUB nella formulazione antecedente alle modifiche inserite con il D.lgs n. 141 del 2010.

La Suprema Corte ha preliminarmente affermato che «dall'esame della legislazione europea e del diritto interno si ricava che il diritto del consumatore al rimborso dei costi sostenuti in caso di adempimento anticipato, nell'ambito del credito al consumo, non è estraneo alla disciplina antecedente all'art. 125 sexies del TUB».

La Corte ha poi ricordato che «come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor dell'11.3.2019, nella causa C - 383/18, le direttive relative al credito al consumo vanno interpretate non soltanto sulla base del loro tenore letterale, ma anche alla luce del suo contesto nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di settore».

A tal proposito, la Suprema Corte ha sottolineato che «la Corte di giustizia ha rilevato in motivazione che l'articolo 8 della direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/84, già stabiliva che il consumatore "in conformità alle disposizioni degli Stati membri (...) deve avere diritto ad un'equa riduzione del costo complessivo del credito"».

Di conseguenza, la Suprema Corte ha evidenziato come secondo la Corte di Giustizia «l'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/84 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di "equa riduzione" quella, più precisa di "riduzione del costo totale del credito" e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare gli interessi e i costi».

Secondo la Corte, alla luce dei principi stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza Lexitor «l'effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca».

La Corte di Cassazione ha quindi affermato che «la soluzione offerta dal giudice del merito si pone in contrasto con l'art. 125 del TUB, ratione temporis e con la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di diritti del consumatore, privandolo di una tutela effettiva, in caso di adempimento anticipato, sulla base dell'inesistenza di una norma secondaria, la deliberazione del CICR, che ha carattere integrativo di una norma primaria (...) anche in assenza di una norma attuativa del CICR, il consumatore non può essere privato del suo diritto al rimborso dei costi sostenuti, come previsto dalla norma primaria e dalle direttive citate».

La Suprema Corte ha poi sottolineato che «la clausola contrattuale che escluda il rimborso dei costi sostenuti, in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento, è nulla perché determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. 206/2005».

A tal proposito, secondo la Corte «la clausola che esclude il diritto del consumatore al rimborso del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento determina certamente uno squilibrio nel sinallagma contrattuale in danno del consumatore in quanto consente all'ente finanziatore di trattenere somme parametrate all'intera durata del contratto nonostante la prestazione sia limitata ad un arco temporale inferiore».

Sulla base di tali premessa, la Corte di Cassazione ha statuito i seguenti principi di diritto :

  1. «l'art. 125 del TUB, nella formulazione antecedente alle modifiche inserite con il D.Lgs n. 141 del 2010 prevede che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto ad un'equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR. In caso di assenza della norma integrativa o di norma integrativa che rinvia all'autonomia contrattuale, il consumatore ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito, compresi gli interessi e le altre spese che il consumatore deve pagare per il finanziamento».
  2. «E' nulla la clausola che escluda il rimborso dei costi sostenuti, in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento perché determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell'art. 33 del D.lgs 206».

Corte di Cassazione, 20 settembre 2023, n. 26867 – responsabilità degli amministratori della banca per concessione del credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza: gli amministratori di una banca, ove abbiano concesso credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza, sono tenuti al risarcimento del danno attuale causato al patrimonio dell'istituto di credito, da liquidarsi in via equitativa, consistente nella riduzione delle sue capacità gestionali e di investimento, in ragione della svalutazione del portafoglio clienti e dei costi di gestione finalizzati al rientro.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26867 pubblicata in data 20 settembre 2023, si è pronunciata in materia di responsabilità degli amministratori della banca per concessione del credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza.

La Suprema Corte ha preliminarmente osservato che «l'art. 72 comma 5° TUB prevede che "gli organi amministrativi succeduti ai commissari prosegouno le azioni di resposnabilità da questi iniziate e riferiscono alla Banca d'Italia in merito alle stesse"».

A tal proposito, la Corte ha chiarito che «non vi è dubbio che il termine "riferire" debba essere inteso nel senso di "relazionare", far partecipe la Banca di tutti gli sviluppi dell'azione di responsabilità esercitata, non imponendo affatto agli organi amministrativi del soggetto subentrato, ai fini della continuazione del giudizio, di munirsi di una nuova autorizzazione della Banca d'Italia».

La Corte di Cassazione ha poi ricordato il principio di diritto più volte enunciato (vedi Cass. n. 37440/2022, conf. Cass. n. 2362/2016), secondo il quale «gli amministratori di un istituto di credito, ove abbiano concesso credito in violazione dei criteri di ordinaria diligenza, sono tenuti al risarcimento del danno attuale arrecato al patrimonio della banca e consistente, in ragione della svalutazione del portafoglio crediti e dei costi di gestione finalizzati al rientro, nella riduzione della sue capacità gestionali e di investimento, senza che sia, pertanto, necessario attendere l'esito infruttuoso delle azioni di cognizione e di esecuzione volte al recupero dei finanziamenti erogati».

A tal riguardo, Suprema Corte ha evidenziato che, nel caso di specie «la Corte d'appello ha fatto un uso corretto di questo principio, avendo liquidato il danno, attraverso un criterio equitativo, nella somma corrispondente al credito complessivamente erogato dalla Banca senza rispettare i criteri di economicità e prudenzialità e ravvisando la responsabilità dei ricorrenti - che pure non avevano personalmente condotto l'istruttoria delle pratiche di erogazione del credito - nell'aver adottato scelte o avvallato deliberati in contrasto con le più elementari regole dell'accorto banchiere nonché nell'aver omesso di adottare misure atte ad impedire le irregolarità delle operazioni che venivano perpetrate nella piena consapevolezza in ordine alle gravi anomalie e ai pesanti deficit organizzativi dell'azienda».

DIRITTO SOCIETARIO E COMMERCIALE

Corte di Cassazione, 1° settembre 2023, n. 25631 – riparto dell'onere della prova ed azione di responsabilità sociale: la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare l'osservanza dei predetti doveri.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25631, pubblicata in data 1° settembre 2023 si è pronunciata sul riparto dell'onere della prova nell'ambito dell'azione di responsabilità sociale.

La Corte di Cassazione, richiamando il proprio orientamento, ha ribadito che

«la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa (o il curatore, nel caso in cui l'azione sia proposta ex art. 146 l. fall.) è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l'osservanza dei predetti doveri (Cass. 7 febbraio 2020, n. 2975; Cass. 31 agosto 2016, n. 17441)»

La Corte ha, dunque proseguito, sostenendo che «a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite, senza apparente giustificazione, dall'attivo della società, questa, nell'agire per il risarcimento del danno nei confronti dell'amministratore, può limitarsi ad allegare l'inadempimento, consistente nella distrazione o dispersione delle dette risorse, mentre compete allo stesso amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali in questione all'estinzione di debiti sociali o il loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale, in conformità della disciplina normativa e statutaria».

La Corte «[p]roprio muovendo dalla natura contrattuale della responsabilità dell'amministratore sociale» ha affermato il principio per cui «la società richiedente il risarcimento del danno sia tenuta a dedurre l'inadempimento dell'amministratore quanto alle giacenze di magazzino, restando poi a carico del convenuto l'onere di dimostrare l'utilizzazione delle merci nell'esercizio dell'attività di impresa (Cass. 10 agosto 2016, n. 16952)».

Ad analoghe conclusioni la stessa Corte è pervenuta «in fattispecie in cui veniva in questione la distrazione di importi che l'amministratore aveva dedotto essere stati destinati a distribuzione di utili ai soci e a pagamento di compensi a lui spettanti (Cass. 12 maggio 2021, n. 12567)».

DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI

Corte di Cassazione, 27 settembre 2023, n. 27442 – compenso del curatore fallimentare: ai fini dell'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002, come risultante dalla sentenza additiva n. 174 del 2006 della Corte costituzionale, la regola per cui se tra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge le spese ed onorari del curatore sono anticipati dall'erario, dettata per il caso tipico del fallimento privo di attivo, si estende per identità di ratio anche al caso di fallimento con attivo insufficiente.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27442 del 27 settembre 2023, si è pronunciata in tema di compenso del curatore del fallimento nel caso di limitata disponibilità di cassa ai sensi dell'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002.

La Suprema Corte ha preliminarmente precisato che «l'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che, nella procedura fallimentare, se tra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge, alcune spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'erario. In questa prospettiva la norma precisa che sono anticipati dall'erario, fra l'altro, "le spese ed onorari ad ausiliari del magistrato" (terzo comma, lettera c)».

Con riferimento all'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte di Cassazione ha richiamato la sentenza n. 174 del 2006 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tale norma, «nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall'Erario "le spese ed onorari" al curatore in caso di fallimento privo di attivo». Di conseguenza, la Cassazione ha ricordato che «[l]'ambito di tale norma è stato quindi esteso al curatore in forza di sentenza additiva».

Pertanto, la Suprema Corte ha affermato che «la stessa ratio -e quindi la stessa regola- deve valere anche per il caso di attivo insufficiente».

In conclusione, la Corte di Cassazione ha statuito il seguente principio di diritto: "ai fini dell'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002, come risultante dalla sentenza additiva n. 174 del 2006 della Corte costituzionale, la regola per cui se tra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge le spese ed onorari del curatore sono anticipati dall'erario, dettata per il caso tipico del fallimento privo di attivo, si estende per identità di ratio anche al caso di fallimento con attivo insufficiente".

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