1. Le misure di "contenimento" indicate nei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8, 9 e 11 marzo.

Il Governo italiano, allo scopo di contrastare l'emergenza sanitaria in atto in Italia, ha emanato – con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020 – le prime misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Tali misure, inizialmente indirizzate principalmente ai residenti delle c.d. "aree a contenimento rafforzato", a distanza di pochi giorni venivano ulteriormente estese, tramite un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato in data 9 marzo 2020 (ed efficace a partire dal 10 marzo), "all'intero territorio nazionale". Lo stesso Decreto prevedeva peraltro una nuova misura di contenimento, in base alla quale "sul territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico".

Come noto, con il più recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'11 marzo 2020 (pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale ed efficace a partire da oggi), sono state individuate nuove misure di contenimento ancora più stringenti. In particolare, il nuovo DPCM prevede che, su tutto il territorio nazionale:

  • siano sospese le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità indicate nel DPCM – quali, ad esempio, le farmacie, le attività di commercio al dettaglio di carburante per autotrazione, di apparecchiature informatiche, di articoli igienico-sanitari, di articoli per l'illuminazione, di ferramenta, di giornali, di prodotti per l'igiene personale, di saponi, detersivi, ecc. –); restano viceversa aperte le edicole, le tabaccherie, le farmacie e le parafarmacie, mentre devono rimanere chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari;
  • siano sospese le attività di ristorazione (tra cui, bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie); è invece consentita la ristorazione con consegna a domicilio (purché effettuata nel rispetto delle norme igienico-sanitarie);
  • siano sospese le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri ed estetici).

Il nuovo DPCM prevede inoltre che ciascun Presidente di Regione possa disporre "la programmazione del servizio erogato dalle Aziende del Trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l'emergenza coronavirus [...] al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali" e che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti possa "disporre [...] la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo [...] al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali".

Restano invece garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi, nonché le attività del settore agricolo e zootecnico di trasformazione agro-alimentare (comprese le filiere).

a ultimo, il nuovo DPCM prevede alcune misure da applicare nelle attività produttive e professionali, volte ad incentivare le modalità di lavoro agile (c.d. "smartworking"), le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti, le operazioni di sanificazione nei luoghi di lavoro, la sospensione delle attività nei reparti aziendali non indispensabili alla produzione, la predisposizione di "protocolli di sicurezza anti-contagio", nonché la limitazione degli spostamenti all'interno dei siti produttivi (limitando anche l'accesso agli spazi comuni).

Le misure del nuovo DPCM sono "efficaci fino al 25 marzo 2020".

2. Il mancato rispetto delle misure di contenimento.

Il mancato rispetto delle misure di contenimento del contagio indicate nei DPCM sopra indicati è espressamente punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

L'articolo 650 del codice penale punisce con l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a 206 Euro, "chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene".

Trattandosi di una contravvenzione, il fatto risulta punibile sia per dolo, sia per colpa, ma l'autore della violazione potrà essere ammesso all'oblazione (cioè al pagamento della metà del massimo della sanzione penale prevista), che estingue il reato, a condizione che (i) elimini – per quanto concretamente esigibile – le conseguenze dannose o pericolose del reato; e (ii) il giudice non valuti il fatto commesso come di "particolare gravità".

3. Quali potrebbero essere i "più gravi" reati configurabili.

Con riferimento alle altre "più gravi" fattispecie di reato che potrebbero configurarsi, si segnala che nella "Direttiva ai Prefetti per l'attuazione dei controlli" del Ministro dell'Interno dell'8 marzo 2020 si precisa che: "il personale operante provvederà anche a rendere edotti gli interessati circa il fatto che le più gravi conseguenze sul piano penale di un comportamento, anche solo colposo, non conforme alle previsioni del D.P.C.M. possono portare a configurare ipotesi di reato, quali quelle di cui all' art. 452 c.p. (delitti colposi contro la salute pubblica)".

In particolare, una delle condotte punite dall'art. 452 del codice penale consiste nell'aver cagionato – seppur colposamente – "un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni". Il Ministero dell'Interno ritiene pertanto che, qualora a seguito della violazione delle prescrizioni contenute nel decreto, il contravventore cagioni (o aggravi) l'epidemia, possa essere chiamato a rispondere di tale più grave reato. Va peraltro evidenziato che, in dottrina e in giurisprudenza è circostanza ancora controversa se tale reato debba essere considerato come una fattispecie di "danno" o di "pericolo": in quest'ultima ipotesi, il giudice potrebbe limitarsi ad accertare se, in concreto, la violazione del soggetto alle regole dettate dai provvedimenti di questi giorni abbiano comportato anche soltanto il "pericolo" di diffusione dell'epidemia.

Con riferimento al rischio di diffusione dell'epidemia, potrebbe peraltro trovare applicazione anche l'art. 260 del Regio Decreto n. 1265 del 27 luglio 1934 ("Testo unico delle leggi sanitarie"), il quale punisce con l'arresto fino a sei mesi e con ammenda "chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo", e che dispone peraltro un aumento della pena "se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un'arte sanitaria".

Nei casi più gravi, non è escluso peraltro che possa essere contestato anche il reato di lesioni colpose, in ipotesi in cui il trasgressore, adottando comportamenti in spregio delle basilari regole dettate dal Governo, finisca per contagiare altre persone. In proposito, non è superfluo tuttavia precisare che per ritenere configurabile tale delitto sarebbe tuttavia necessario l'accertamento del nesso causale fra la condotta colposa e la malattia cagionata a terzi, e cioè la prova che la violazione delle regole cautelari contenute nei DPCM di questi giorni abbia effettivamente cagionato l'infezione da coronavirus.

La configurabilità di tale reato ha peraltro riflessi anche sulla responsabilità dei datori di lavoro: qualora, infatti, i datori di lavoro non adottassero precauzioni per tutelare in propri dipendenti dal rischio di contagio, in violazione delle stesse prescrizioni del DPCM (il DPCM dell'11 marzo 2020 raccomanda, ad esempio, l'adozione di "protocolli di sicurezza anti-contagio") ed in generale del D.lgs. 81 del 2008 in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, potrebbero esporsi al rischio dell'apertura di procedimenti penali nei loro confronti per il delitto di lesioni colpose, naturalmente sempre nell'eventualità in cui la Pubblica Accusa possa dimostrare che la patologia contratta dal lavoratore derivi dalla condotta colposa del datore di lavoro, e si possano al contempo escludere decorsi causali alternativi.

Per i datori di lavoro delle imprese che svolgono un servizio pubblico (e che sono tenuti quindi a garantirne la continuità) si configura anche il rischio di commissione del delitto di interruzione di pubblico servizio, che punisce, con la reclusione fino ad un anno, "chiunque cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità ".

Peraltro, nell'ambito della stessa impresa potrebbero esserci soltanto alcuni servizi considerati "di pubblica necessità", e dunque l'imprenditore dovrà necessariamente valutare:

  • quali servizi dovrà necessariamente garantire al pubblico e quali invece potranno o dovranno essere sospesi; il nuovo DPCM prevede, infatti, che siano "sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione";
  • quali attività possano o debbano essere svolte con modalità che limitino il rischio di diffusione del virus e quali misure di precauzione adottare (il nuovo DPCM indica, ad esempio, la necessità di limitare gli spostamenti all'interno dei siti e la necessità di prevedere un accesso contingentato agli spazi comuni).

Infine, nei casi in cui si usi violenza o minaccia, ad esempio, per sottrarsi all'attività di controllo sul rispetto delle prescrizioni affidata alle Forze dell'Ordine, potrebbe trovare applicazione il delitto di "resistenza a pubblico ufficiale" di cui all'art. 337 del codice penale, che punisce "chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico, mentre compie un atto di ufficio o di servizio".

4. La misura della limitazione degli spostamenti.

Tra le misure previste dal DPCM dell'8 marzo 2020 vi è anche quella di "evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo [...], nonché all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute".

Come detto, tale misura, inizialmente prevista per i residenti delle c.d. "aree a contenimento rafforzato", è stata estesa, con il DPCM del 9 marzo 2020, a tutti i cittadini sul territorio nazionale.

Peraltro, in un vademecum pubblicato sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 10 marzo scorso, il Governo ha precisato che:

  • tutti i cittadini devono "evitare di uscire di casa. Si può uscire per andare al lavoro o per ragioni di salute o per altre necessità, quali, per esempio, l'acquisto di beni essenziali; è comunque consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi";
  • per i lavoratori autonomi "è sempre possibile uscire per andare al lavoro, anche se è consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi".

Nel vademecum si precisa poi che il termine "comprovate" esigenze lavorative significa "che si deve essere in grado di dimostrare che si sta andando (o tornando) al lavoro, anche tramite l'autodichiarazione vincolante [...] o con ogni altro mezzo di prova".

Non sono invece previste, come precisato nel vademecum del Governo, limitazioni per il transito delle merci: "tutte le merci (quindi non solo quelle di prima necessità) possono essere trasportate sul territorio nazionale".

Allo stesso modo non sono previste limitazioni alla circolazione dei corrieri merci e alle attività di transito e carico/scarico delle merci.

5. L'autodichiarazione per gli spostamenti e le conseguenze in caso di "falsa" dichiarazione.

Nella "Direttiva ai Prefetti per l'attuazione dei controlli" del Ministro dell'Interno si precisa inoltre che "l'onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull'interessato. [...] si ritiene che tale onere potrà essere assolto producendo un'autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica".

In sostanza, quindi, in caso di controlli dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, tutti i cittadini che non ne siano già provvisti dovranno compilare sul posto una "autodichiarazione" fornita dalle Forze dell'Ordine, in cui attestano la sussistenza delle esigenze o situazioni sopra indicate.

Il Ministero dell'Interno ha peraltro già pubblicato sul proprio sito internet il modello di tale autodichiarazione e ha infine precisato che "la veridicità dell'autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli".

Anche nel vademecum il Governo ha peraltro ribadito che "la veridicità delle autodichiarazioni sarà oggetto di controlli successivi e la non veridicità costituisce reato".

Nel caso in cui si dichiari il falso nell'autocertificazione, si potrà infatti essere chiamati a rispondere del reato di cui all'art. 495 c.p. (reato espressamente richiamato dal modulo di autocertificazione pubblicato sul sito del Ministero dell'Interno), che, sotto la rubrica «Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», punisce con la reclusione fino a sei anni "chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona".

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