A poche settimane dall'inizio del prossimo round negoziale sul TTIP (Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti), la strada per giungere ad un accordo entro la fine di quest'anno appare decisamente in salita, come testimonia anche l'intervista rilasciata dal ministro dello Sviluppo Economico Calenda al Corriere della Sera.

Le centinaia di pagine di documenti riservati recentemente rese pubbliche da Greenpeace, infatti, non solo hanno rinfocolato le polemiche di chi ritiene che il Trattato aprirebbe la strada ad una gara al ribasso negli standard ambientali, della salute e della tutela dei consumatori, ma dimostrano come, in ogni caso, le posizioni dell'Unione Europea e degli Stati Uniti siano ancora molto distanti.

Sebbene le autorità europee si siano affrettate a spiegare che i documenti coinvolti nell'ormai soprannominato 'TTIP-leaks' non rappresentano una fotografia dell'accordo finale, è chiaro che le trattative, che vanno ormai avanti da tre anni, non sembrano aver fatto molti passi in avanti. Tanto che il presidente francese François Hollande ha espresso pubblicamente la sua contrarietà alla stipula di un accordo al ribasso che metta in discussione i principi essenziali dell'agricoltura e della cultura europea.

I punti di divergenza tra Stati Uniti e Unione Europea sono molti e ormai noti. A partire dalle regole poste a tutela della salute dei consumatori, che vedono opporsi il 'principio di precauzione' europeo all'approccio statunitense 'basato sui rischi', fino alle leggi in materia di OGM o di tutela delle denominazioni geografiche.

Dalla lettura dei documenti svelati da Greenpeace due temi, in particolare, sembrano essere particolarmente divisivi.

In primo luogo il tema relativo agli appalti pubblici, ritenuto di cruciale importanza dalla Commissione europea che lo considera indispensabile per rilanciare l'occupazione e la produzione industriale nel vecchio continente. Gli Americani accettano di riconoscere il libero accesso alle loro gare, ma non hanno intenzione di derogare alla regola del 'buy american', con l'effetto che qualunque impresa dovesse aggiudicarsi un appalto negli USA sarà poi costretta ad impiegare, nello svolgimento dei lavori, prodotti americani almeno per il 50%.

In secondo luogo, fonti interne ai negoziati riportano l'intenzione americana di continuare ad usare le denominazioni geografiche di prodotti alimentari europei, compresi vini made in Italy come Chianti e Marsala, con evidente danno per i prodotti originali. Per contro, l'Unione Europea vorrebbe prevedere un'apposita sezione dedicata al commercio di vini e liquori, che riprenda il contenuto degli accordi bilaterali tra USA e UE del 2006, che verrebbero invece abrogati. Di fondamentale importanza sarà dunque capire quali denominazioni verranno protette, mediante inserimento negli appositi allegati, il cui contenuto è però ancora sconosciuto.

In ogni caso, al di là del merito degli argomenti, è evidente come la discussione abbia ormai assunto una forte valenza politica, ed il rischio è che, con le elezioni statunitensi alle porte, le trattative si trascinino ancora per molti mesi, se non anni.

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